Già abbondantemente riconosciuto
il diritto al risarcimento per quanto attiene a danni che si
proiettano nel futuro e che perciò stesso non possono essere
determinati nel loro ammontare con assoluta precisione,
legittimamente il giudice procede alla liquidazione ai sensi e
con i criteri stabiliti dall’art. 1226 c.c. (valutazione
equitativa. Cass. 15 marzo 1966 n. 747; 4 marzo 1970 n. 527, 18
nov. 1975 n. 3878).
I danni non patrimoniali, quelli cioè che non dovrebbero avere
alcuna ripercussione sul patrimonio erano tutti ricompresi nel
cosiddetto «danno morale» perché riferiti a quei beni che, se
offesi, divengono fonte di dolore, fisico e morale, di
afflizione, di risentimento: con l’obbligo comunque di provare
l’esistenza di tale danno (onere della prova).
Il danno non patrimoniale ha allargato dunque il suo campo
d’azione comprendendosi in questo capitolo il danno biologico,
quello morale in senso stretto, relativo alla sofferenza, quello
esistenziale, di nuova teorizzazione che racchiude una serie di
situazioni precedentemente rilevate dalla giurisprudenza con
nomenclature differenti (danno alla vita di relazione, alla
salute, all’attività sessuale ecc.).
Gerin, fin dal 1952 teorizzava che «all’uomo in quanto tale e
non per la sua capacità di produrre reddito, spetti il diritto
ad una tutela anche economica».
Principio in accordo con l’art. 32 della Costituzione che
«tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed
interesse della collettività».
Era ben evidente che la norma giuridica cercasse, prima
attraverso la dottrina, poi con la giurisprudenza e da ultimo
con il riassetto codicistico nuovi modelli di responsabilità
civile al cui interno fossero destinate a trovare posto
dimensioni pregiudizievoli in precedenza trascurate ossia i vari
momenti riguardanti (non solo il versante biologico, ma anche
prerogative diverse della salute o dell’integrità psicofisica)
la sfera di esplicazione «esistenziale» dell’uomo.
Beni diversi dalla salute o dall’integrità psicofisica non
risultano attualmente protetti più di tanto nel nostro
ordinamento, non comunque in maniera diretta nel contesto
civilistico.
Difatti le relazioni sociali in cui l’uomo esplica la sua
personalità, le attività quotidiane in cui ognuno realizza se
stesso, quasi mai si trovano al centro di specifiche previsioni
di legge.
Comunque un esperto dovrebbe descrivere minuziosamente i vissuti
della vittima su ambedue i fronti che interessano:
• Il versante dell’esistenziale/biologico (trovarsi menomato,
accecato, assordato, sfregiato ecc. con le negative implicazioni
esistenziali oltre che fisiche).
• Quello dell’esistenziale non biologico (destinato a valutare
il peggioramento della quotidianità di chi si vede calunniato,
assediato dal rumore, dimenticato, ingiustamente recluso,
licenziato senza giusta causa ... e si potrebbe continuare con
le esemplificazioni).
Il danno morale, «prezzo del dolore», che il codice voleva
soltanto legato alla presenza di un’ipotesi di reato, aveva
ormai necessità di trasferire la sua applicazione anche in campo
civilistico con una forma più elastica.
Hanno preso corpo, giuridicamente parlando, le nuove categorie
di danno, legate al diritto di integrità: il danno alla vita di
relazione, il danno specifico, quello estetico, quello
all’integrità sessuale, il danno alla salute.
In sostanza il danno risarcibile non si identifica in qualunque
lesione materiale e naturalistica patita dalla vittima, ma
dipende dalle scelte di valore operate dall’ordinamento
giuridico nel selezionare gli interessi protetti e delle
conseguenze pregiudizievoli economicamente rilevanti.
Il nodo della questione è dato dal fatto che l’impostazione
giuridica richiedeva comunque una diminuzione patrimoniale cui
parametrare l’entità dell’obbligazione risarcitoria.
Con le nuove teorizzazioni aumentano le situazioni giuridiche
tutelate, in maniera da superare l’equazione tradizionale danno
non patrimoniale - danno morale, sottolineandosi la maggiore
latitudine da attribuire al primo in modo da comprendere
qualsiasi conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non
prestandosi ad una valutazione monetaria basata su criteri di
mercato non possa essere oggetto di «risarcimento» bensì di
«riparazione».
Occorreva cioè trovare collocazione a quella tipologia di danni
che non sono strettamente riconducibili a nessuna delle
categorie sopra espresse.
Prende così corpo il concetto di «danno esistenziale» che
ingloba il concetto di «danno alla salute», considerando
quest’ultimo differente dal danno biologico, ma lo perfeziona in
quanto il danno alla salute è strumento di tutela della persona
fisica - e non potrebbe essere altrimenti - mentre resterebbe
priva di un ristoro dovuto alla «persona giuridica» pur
logicamente avendone questa pieno diritto «...questa Suprema
Corte ha ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale,
evidentemente inteso in senso diverso dal danno morale
soggettivo, anche in favore delle persone giuridiche; soggetti
per i quali non è ontologicamente configurabile un
coinvolgimento psicologico in termini di patemi d’animo» (Cass.
31 maggio 2003).
Nei riguardi del danno morale, che pur deve continuare ad essere
punto di riferimento, il danno esistenziale non ha nulla a che
vedere con il dolore, le sofferenze, le lacrime, i patemi
d’animo. Il danno morale è essenzialmente un «sentire»; il danno
esistenziale è piuttosto un «non fare», o meglio un «non poter
più fare», un dover agire altrimenti, un relazionarsi
diversamente.
Sotto questo profilo e con queste nuove teorizzazioni il danno
non patrimoniale può considerarsi consistente nella lesione di
un bene non idoneo a produrre reddito, ma costituisce pur sempre
un interessamento protetto dall’ordinamento.
Il danno esistenziale si allontana così sia dal risarcimento del
danno in senso stretto che dalla riparazione della sofferenza,
per valorizzare le rinunce ad attività quotidiane di qualsiasi
genere, la compromissione di sfere di applicazione, personale e
non: in definitiva in quel «non fare» che costituisce il
presupposto della perdita di utilità quotidiane sia per le
persone fisiche che giuridiche «...Si tratta di un danno non
patrimoniale che, ad opinione di questo Giudice, deve essere
tenuto distinto sia dalla sofferenza che naturalmente provoca la
morte del congiunto, risarcibile come danno morale e sia dal
danno biologico derivante da comprovate motivazioni fisiche o
psichiche etimologicamente connesse con il decesso del congiunto
cui si richiama la Corte Costituzionale con sentenza 372/94.
Pur consapevole del prevalente indirizzo giurisprudenziale,
questo Giudice ritiene che, come affermato dalla stessa Corte
Costituzionale ancora con la sentenza184/86, l’art. 2043 del
c.c., correlato con l’art. 32 della Costituzione, vada
necessariamente esteso fino a ricomprendere tutti i danni che,
almeno potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici
della persona umana» (Trib. di Treviso - 7 agosto 200).
Esso si differenzia nettamente anche dal danno psichico che è
patologia suscettibile di accertamento medico-legale e quindi va
ricompreso nel danno biologico.
Visto in quest’ottica il danno esistenziale ha la funzione di
coprire quell’intera categoria di danni attualmente privi di
tutela risarcitoria non catalogabili nella triade «danno
biologico - danno morale - danno patrimoniale» propria del
nostro sistema risarcitorio. E ve ne è anche per chi vive col
danneggiato!!
«L’evento naturale “morte” non causa soltanto l’estinzione della
vita della vittima primaria, che subisce il massimo sacrificio
del relativo diritto personalissimo, ma causa altresì, nel
contempo, l’estinzione del rapporto parentale con i congiunti
della vittima, che a loro volta subiscono la lesione
dell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti
reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita
familiare».
«L’interesse fatto valere nel caso di danno da uccisione di
congiunto è quello all’intangibilità della sfera degli affetti e
della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia,
all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle
attività realizzatrici della persona umana nell’ambito di quella
peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui
tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Costituzione».
«Il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto,
consistente nella perdita del rapporto parentale, si colloca
quindi nell’area dell’art. 2059 in raccordo con le suindicate
norme della Costituzione» (Cass. 31 maggio 2003).
Ugualmente possiamo considerare parallelamente all’evento morte
quello di una invalidità che, lungi dall’essere foriera di un
solo danno patrimoniale, incida profondamente nel vissuto
dell’infortunato in maniera tale da sconvolgere la sua esistenza
e quella delle persone che gli vivono accanto.
Riteniamo di segnalare al Giudice non già l’entità di questo
tipo di danno che incide sia sul ………………… che sulla sua famiglia,
ma l’esistenza, nel caso, di tutte le condizioni per il suo
riconoscimento.