Il consenso (che deve essere
libero, attuale, valido, personale, consapevole ed informato per
non essere considerato “negligente”), prestato dal paziente
all’intervento terapeutico, funge da presupposto essenziale che
lo renda lecito.
Il ruolo del consenso informato ha assunto una posizione
centrale in quanto espressione del diritto dell’individuo -
costituzionalmente garantito dagli artt. 2, 13 e 32 della
Costituzione - di scegliere se curarsi o no, se privilegiare o
no il suo stato di salute, se, addirittura, rifiutare le cure.
Dunque, senza il consenso informato, ogni attività medico
terapeutica - anche quella con esito favorevole - risulta
illecita.
In tal senso si è espressa recentemente anche la Cassazione
Civile, sezione terza, con la sentenza n. 27751 dell'11 Dicembre
2013.
“Se manca, o è incompleto, il consenso informato, il medico è
sempre responsabile, anche se l'intervento è eseguito
correttamente”.
Ed ancora: il medico “ha il dovere di informare il paziente
sulla natura dell’intervento, sulla portata e l’estensione dei
suoi risultati e sulle possibilità e probabilità dei risultati
conseguibili, sia perché violerebbe, in mancanza, il dovere di
comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle
trattative e nella formazione del contratto (art.1337 c.c.), sia
perché tale informazione è condizione indispensabile per la
validità del consenso che deve essere consapevole”.
Si rimane nella categoria delle lesioni volontarie dolose, anche
nell’ipotesi in cui il consenso, pur avendo ad oggetto il
medesimo trattamento terapeutico programmato e concordato con il
medico, si sia formato, tuttavia, invalidamente, a causa di un
comportamento del sanitario, che consapevolmente abbia
rappresentato al paziente una realtà, in termini di rischi e
controindicazioni, connessi all’intervento, diversa da quella
effettiva, sì da influire in modo determinante sulla formazione
del consenso, da parte del paziente, a sottoporsi
all’intervento, consenso che certamente non avrebbe dato se
fosse stato raggiunto da una corretta, completa e veritiera
informazione ad opera del medico
La violazione del limite del consenso da parte del medico può
essere a lui ascrivibile anche a titolo di colpa, se
l’intervento praticato diverso da quello assentito dal paziente
è stato determinato dalla necessità di riparare ad un errore.
Parimenti colposa sarebbe la condotta medica “arbitraria” che
aggredisca la sfera fisica del paziente in presenza di un
consenso reso invalido…per un’insufficiente ed incompleta
informazione fornita, soltanto per negligenza od imperizia, al
paziente da parte dello stesso sanitario”.
Nel caso concreto non posso esprimermi sulla esistenza e sulla
validità delle informazioni verbali fornite dal dottor Troiano
alla dottoressa Di Muro. Posso solo riportare la dichiarazione
fattami dalla dottoressa la quale mi assicura che non furono
ipotizzati esiti dubbi sul successo operatorio.
La formalizzazione del “consenso informato” all’intervento
esiste in cartella, ma è un modello unitario, prestampato e - a
quanto mi dice la paziente - richiesto di firmare pochi minuti
prima dell’intervento quasi che fosse una mera formalità
burocratica. Esso porta, difatti, la data del 27 febbraio.
Informazione e consenso debbono invece essere due momenti ben
distinti, anche temporalmente, per offrire al paziente la
possibilità ed il tempo di meditare sulle informazioni ricevute
ed, eventualmente, come sopra detto, decidere di
responsabilmente consentire, rifiutare o rinviare l’atto
operatorio.
“In mancanza di consenso opportunamente informato del malato o
la sua invalidità per altre ragioni determina l’arbitrarietà del
trattamento medico-chirurgico e la sua rilevanza penale, in
quanto compiuto in violazione della sfera personale del soggetto
e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei
sul proprio corpo…”
(Cass. Pen. 11.07.01ez IV, Firenzani; Cass. Pen. 2002, 2041. Il
consenso informato.